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RECENSIONE: Se avessimo un po' più di cocaina..., Vault Festival ✭✭

Pubblicato su

27 febbraio 2018

Di

julianeaves

Se avessimo un po' più di cocaina, potrei dirti quanto ti amo

Vaults Festival,

22 febbraio 2018

2 stelle

Sito del Vault Festival Se mai ci fosse un'occasione in cui una produzione sembra e appare molto diversa dopo il trasferimento in un altro teatro, è questa.  Avendo impressionato nel piccolo e accogliente spazio sopra l'Old Red Lion all'Angel, Islington, questo spettacolo è stato selezionato per l'edizione di quest'anno del Vaults Festival, e - proporzionato al suo fascino narcotico - occupa un ampio spazio attraente, attirando un pubblico molto più vasto.  E l'effetto quale è stato?

Beh, per cominciare, la prospettiva iniziale del set sul tetto in stile 'Mary Poppins' di Georgia de Grey e dei costumi di Halloween da fumetto, avvolti nel disegno luci di Derek Anderson e Sheila Murphy, mentre il disegno sonoro di John McLeod ci avvolge le orecchie, è abbastanza coinvolgente.  Siamo divertiti.  E quando Alan Mahon e Josh Williams iniziano a scambiarsi convenevoli teatrali codificati, uno di loro fa un'accattivante imitazione irlandese del 'vecchio' che cerca di mantenere il giovane inesperto sulla retta via, nello stile dei migliori stereotipi grotteschi drammatici di Shaw, ci sentiamo persino in un senso di accogliente familiarità con la situazione e i personaggi, mentre fanno satira su tutto ciò che ci è caro, fino al nostro modo di vita britannico nella sua essenza più sacra.

Ma questo senso di comfort non perdura.  Ci rendiamo ben presto conto che ciò che senza dubbio funzionava come un aspetto brillantemente focalizzato del design scenico a Islington, l'elemento centrale del tetto spiovente che si può così facilmente immaginare con una concentrazione tremendamente emozionante nello spazio minuscolo dell’ORL, quando messo longitudinale in una disposizione alla proscenio con centinaia di posti a sedere inclinati verso di esso, ha improvvisamente un effetto completamente diverso.  Invece di ritrovarci incollati dal realismo mozzafiato della mise-en-scène, per tutti i circa 70 minuti della performance, io stesso ero più che altro portato a pensare alla produzione di Jonathan Miller di 'Tosca' per l'ENO, dove l'azione avveniva su una piattaforma centrale inclinata lateralmente, su cui figure come Jo Barstow dovevano assumere pose in stile 'legs-akimbo', nei loro eleganti abiti italiani anni '40, mentre procedevano in una maniera del tutto innaturalistica attraverso le stazioni del piccolo shocker scadente di Puccini.  Ci sono riusciti perché - ehi - questa è l'opera, e niente è davvero reale in quella forma d'arte così fantasiosa e innaturale.

Non qui.  Non con Paddy e il suo aiutante non irlandese che sbandierano su come il mondo li abbia fatti soffrire in termini non incerti.  Dovremmo credere nella loro realtà, dovremmo preoccuparci.  Di fronte a questo, lo scivolare e sdrucciolare costante sui tegole del tetto, l’interminabile e pericoloso destreggiarsi in cerca di equilibrio e punti d’appoggio, non è altro che una distrazione e un ostacolo.  Un vero peccato.  Ci sono alcuni elementi di un racconto coinvolgente qui - soprattutto nel racconto del furto dalla famiglia - ma questi si perdono irrimediabilmente nell'ansia nervosa di sapere se e come il cast riuscirà ad arrivare alla fine del pezzo prima di precipitare giù verso.... noi.

Pazienza.  Era una bella idea.  Sembrava buona, inizialmente, rendendo la semplice ma abbastanza chiara rappresentazione di Thomas Martin dello scritto tortuoso di Jon O'Donovan apparire forse piuttosto più di quello che è.  Sfortunatamente, le belle idee da sole non fanno il teatro.  Se avessimo avuto un po' più di cocaina, forse il pezzo sarebbe sembrato molto meglio.  Ma non l'avevamo.  Cue Carole King.... 'Up on the roof'.

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