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RECENSIONE: Ghost Quartet, Boulevard Theatre Londra ✭✭✭✭✭

Pubblicato su

1 novembre 2019

Di

julianeaves

Julian Eaves recensisce Ghost Quartet di Dave Malloy, la produzione inaugurale del nuovo Boulevard Theatre di Soho, Londra.

Maimuna Memon e Niccolo Currandi in Ghost Quartet. Foto: Marc Brenner Ghost Quartet

Boulevard Theatre,

31 ottobre 2019

5 Stelle

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Ogni tanto, arriva uno spettacolo che è semplicemente perfetto, e questo è uno di quelli. È ancora più delizioso essendo la produzione di debutto in un nuovo teatro che è anche uno spazio perfetto. La combinazione di lavoro e sede è sicura di dimostrarsi estremamente popolare durante la stagione inaugurale del magnifico nuovo progetto nel West End della fondatrice Fawn James ed è un brillante inizio per la prima stagione di Rachel Edwards come direttrice artistica qui. Il nuovo edificio di SODA e gli interni di charcoal blue consentono almeno 8 configurazioni diverse, che possono essere cambiate più volte al giorno, come i visitatori abituali di questo luogo scopriranno rapidamente: ospita anche eventi diurni e eventi musicali e di parole parlate a tarda notte. E tutto ciò, aggiungo in fretta, a prezzi molto ragionevoli.

Il pezzo scelto per lanciare questo intimo e sofisticato teatro da 165 posti è l'esquisito 'ciclo di canzoni' di Dave Malloy per quattro attori-musicisti (con alcune aggiunte a sorpresa). Ci sono momenti in cui una colonna sonora sembra non essere altro che una raccolta casuale di canzoni; bene, questa è una raccolta di canzoni che è una 'scaletta' perfettamente armoniosa nel vero senso della parola. E il direttore musicale Benjamin Cox (che ha una grande esperienza sia nell'opera che nel teatro musicale) ha formato e supervisionato il cast a vivere e respirare la perfezione di ogni momento superbamente integrato. Per quanto riguarda il resto della messa in scena, il regista Bill Buckhurst è rimasto il più lontano possibile da questo affiatato gruppo, permettendo loro l'assoluta autonomia in questo gioiello di teatro-arena.

Zubin Varla e Maimuna Memon in Ghost Quartet. Foto: Marc Brenner

Il team creativo di Buckhurst sarà familiare ai fan del suo 'pie-shop Sweeney Todd', ed è altrettanto di successo qui come lo era a Tooting, nel West End e a Broadway. Il designer Simon Kenny ha fornito una serie di affascinanti 'indizi' per lo spettacolo e cosa potrebbe 'significare' nel materiale che ha assemblato attorno agli strumenti musicali sul piccolo palco. Così, mentre la stanza somiglia a un trendy locale notturno anni Sessanta, distribuita intorno - sotto e sopra - con confortevoli poltrone e sgabelli su misura di Race Furniture, lo spazio performativo strizza l'occhio a 'Le mille e una notte', 'Ulisse' e altri segnali emblematici della cultura occidentale: più di quello, vengono serviti ai pochi fortunati tra il pubblico scotch, whisky irlandesi e americani mentre un abile 'brindisi' ci invita a gustarlo con i suoi 'quattro amici'.

Infatti, più a lungo rimani con le canzoni magnificamente scritte, costruite con sorprese infinite, intrecciate con relazioni astute e risuonate di echi reciproci in modi intriganti, meno trovi una narrazione unica e più sei attratto in uno 'stato d'animo pensieroso o riflessivo', sottomesso al suo caleidoscopio di toni e sensazioni. Poi, circa un'ora dopo, mi è venuto in mente, in questa serata in cui l'Evening Standard stava gridando di Boris Johnson in vantaggio di moltissimi punti nella campagna elettorale, che questo è probabilmente l'ultimo posto sulla terra in cui ci si aspetterebbe di trovare una persona del genere: lui, e il suo genere, potrebbero non trovare di avere molto in comune con questa amichevole, generosa, esteticamente sublime e moralmente permissiva bordata. Concepite al momento dell'ascesa di Trump negli USA, è difficile non vedere in esso una fervente dichiarazione di valori pluralisti, compassionevoli, liberali - in altre parole, tutto ciò con cui qualcuno come Trump (e che è - non è vero? - proprio quello che Johnson cerca di essere) avrebbe poco in comune.

Così questo teatro è un posto dove sfuggire - per il momento - a tutto ciò che è brutto, senz'anima e doloroso nella nostra attuale e sempre più ridotta Inghilterra. A portarci in questo regno speciale sono quattro artisti il cui obiettivo è - in definitiva - di avere il pubblico non solo a mangiare dalle loro mani ma anche a suonare la loro canzone. Niccolo Curradi, un volto familiare nel territorio del quadruplo-talento, inizia la marcia in questo terreno miracoloso con il suo caldo baritono, il violoncello tenuto nelle sue braccia muscolose; è seguito dal mezzo soprano Maimuna Memon, che - ancora una volta - risplende con la sua voce meravigliosamente chiara e corposa (il design del suono di David Gregory è impeccabile, e non c'è dubbio che il top della tecnologia in questo 'teatro dei teatri' abbia aiutato), così come nel suo comando drammatico del palco; quindi Zubin Varla porta il suo tenore autoritario shakespeariano alla tastiera, dove dimostra di essere a suo agio sia con Thelonious Monk (uno degli idoli più venerati di Malloy) sia con il resto di questa selezione musicale squisitamente varia; e, infine, Carly Bawden fa risuonare le note alte del quartetto con il suo soprano perlaceo, a volte ricordando - come infatti la scrittura - le qualità limpide di Joni Mitchell o della sua omonima (?) Carly Simon.

Dopo un'ora e mezza, in cui il tempo sembra fermarsi, ci ritroviamo sospesi in una sorta di paesaggio musicale 'Gothic del Sud e del Nord', dove figure semi-mitiche fluttuano dentro e fuori dalla nostra visione, arrestando momentaneamente con rivelazioni candide delle loro vite private e desideri nascosti, intrattenendoci con analogie teatrali e confessioni oscure, simili a Twin Peaks. Non ho visto alcun CD dello spettacolo in vendita nella hall mentre uscivo, ma ci torno di nuovo domani per vedere se riesco a scoprire dove trovarne uno. E per vivere, ancora, il magico mondo che è questa adorabile, inestimabile esperienza di paradiso, temporaneamente insediata a Soho per poco più del prezzo di un giro di bevute.

Fino al 4 gennaio 2020.

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