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RECENSIONE: Torn Apart, Teatro N16 ✭✭✭✭
Pubblicato su
16 settembre 2016
Di
julianeaves
Torn Apart
Theatre N16
14 settembre 2016
Theatre N16 l’ha fatto di nuovo. Ancora una volta, questo collettivo teatrale intraprendente e innovativo nel quartiere emergente di Balham, situato nelle stanze del pub spazioso e imponente, The Bedford, ha accolto un’altra nuova compagnia che offre un lavoro sorprendente e brillantemente prodotto. B J McNeill è l'autore e regista di un nuovo straordinario spettacolo che mette tre coppie diverse una contro l'altra nello stesso spazio generico: una camera da letto. O forse no? La stanza, in un design dell'architetto Szymon Ruszczewski, è separata dal pubblico da una grande struttura in legno, con corde tese dal pavimento al soffitto, che approssimano le pareti esterne e il soffitto dello spazio, somigliando a una gabbia; tuttavia, il pavimento di questa ‘camera’, a un esame più attento, si rivela essere una pista da ballo; inoltre, le ‘pareti a corda’ vengono spesso pizzicate, sfiorate o giocate dai personaggi. Chiaramente, non tutto è come sembra.
Una sequenza di dialoghi si svolge tra queste coppie. La prima di queste, una scena di amoreggiare, è audacemente naturalistica nello stile, a differenza della messa in scena parzialmente espressionista. È in pieno svolgimento quando il pubblico arriva: infine, l'illuminazione del palco si intensifica, le luci della sala si abbassano e ci troviamo all'apertura dello spettacolo. Un soldato americano, Simon Donohue, e la sua compagna polacca, Nastazja Somers, si stanno divertendo in una scena spensierata: sembra un accordo pragmatico, reciprocamente vantaggioso, tra un residente di Berlino Est e un membro della NATO in visita, durante le fasi finali della Guerra Fredda. Il soldato deve osservare il coprifuoco e dopo l'ora stregata non può rimanere nel territorio della RDT. Inevitabilmente, questo sforza la relazione. Guardiamo il suo graduale deterioramento.
Intervallate a queste, ci sono scene di altri due matrimoni di fatto: negli anni '90, nel Regno Unito, un inglese, Elliott Rogers, vuole mantenere la sua fidanzata australiana, Christina Baston, ma lei, dopo la scadenza del suo visto biennale, deve tornare dall'altra parte del mondo (lui offre il matrimonio, ripetutamente, ma lei rifiuta di sposarsi ‘per convenienza’); e poi, ai giorni nostri, sempre in Inghilterra, ci sono Sarah Hastings, nuova alla realtà gay o bisessuale, e la sua più esperta e mondana amante, Monty Leigh, che viene poi diagnosticata con una grave malattia, mettendo in pericolo la continuazione di quella particolare relazione. Ci viene chiesto di osservare, ascoltare e riflettere sulle vite di queste persone, con tutto il freddo intellettualismo brechtiano che possiamo raccogliere; eppure, l'estremo realismo di ciò che vediamo cerca costantemente di rompere la nostra riserva e di richiedere il nostro diretto impegno emotivo verso queste persone: la tensione sostenuta tra due atteggiamenti drammatici contrari è una delle delizie di questo pezzo.
All'interno di una tavolozza armoniosamente ordinata di toni bianchi, neri e della carne, combinati con lampi di terra bruciata e kaki per il militare statunitense, queste coppie si fondono linguisticamente, oltre che narrativamente. Le battute ricorrono sporadicamente oltre i confini di tempo e luogo, a volte vengono pronunciate simultaneamente sul palco da personaggi di diverse narrazioni; infatti, intere pagine di dialogo emergono da un ‘collage’ di voci, ingegnosamente in sintonia l'una con l'altra, anche se provenienti da destini completamente separati. O no? Mentre avanziamo, sentiamo sempre più dettagli che sembrano collegare questi personaggi, come se fossero stati deviati da un Priestley dei giorni nostri, indagando sulle strane coincidenze guidate dalla prevedibilità delle ambizioni umane.
Spostandoci da un tempo all'altro, spesso ascoltiamo musica pertinente all'epoca che stiamo entrando: la stessa, arcaica, radio portatile sul palco ottiene lo stesso effetto. I riferimenti attuali ingombrano il discorso di questi agenti apparentemente liberi, tutti sembrano intrappolati in un inferno sartriano creato da McNeill. La minaccia di violenza e la bassezza animale del sesso sono onnipresenti, come se tutto fosse diretto da Pinter. La ‘novità’ della produzione, quindi, sembra ancora riposare su un coinvolgimento dettagliato e appassionato con la grande tradizione moderna del teatro.
Gli attori stessi, molto interessantemente, provengono principalmente da percorsi meno convenzionali nell'industria, incluso il Brian Timoney Actors’ Studio presso The Courtyard, Hoxton. E negli ultimi due anni, lo spettacolo si è sviluppato nel lavoro che vediamo oggi. Lo stile di recitazione è, in generale, naturalistico, tranne quando non lo è: occasionalmente, alcuni dei personaggi si muovono in modo teatralmente gestuale, ma è più probabile che si abbraccino in modi semplici e toccanti. A volte c'è una crudezza nell'azione, un'assenza di lucidità, ma è sempre convincente e coinvolgente: infatti, il meraviglioso paradosso qui è che, mentre lo spettacolo progredisce, diventando a volte molto frammentato e disgiunto, diventa sempre più coinvolgente nel suo effetto complessivo. Le scene sembrano contrarsi in portata e durata, rendendo la tecnica a ‘strati’ di sovrapporle l'una sull'altra quasi - ma non del tutto - sconcertante, fino a quando, infine, la conclusione, così strettamente compressa, è devastante nel suo potere emotivo.
Quindi, No Offence Theatre è un'altra grande aggiunta al campo. Raggiungi Balham per vedere questo dramma affascinante e stimolante.
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