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RECENSIONE: Principessa, LOST Theatre ✭✭✭

Pubblicato su

23 novembre 2016

Di

julianeaves

Foto: Aidan Orange Photography Principessa

LOST Theatre

16 novembre 2016

3 Stelle

Un esperimento delizioso nel raccontare storie è questo intrattenimento affascinantemente innovativo: il pezzo teatrale ‘interdisciplinare’ del compositore-scrittore-coreografo-cantante-regista Stuart Saint. Prendendo come punto di partenza la storia estremamente nota di ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, Saint travolge il pubblico con una colonna sonora pre-registrata dallo stile fusion anni '80, con se stesso alla voce (una voce piuttosto attraente, non dissimile da quella di Mark Almond), mentre una compagnia eccezionalmente scelta di otto persone (sette qui, a causa di un infortunio) interpreta le scene archetipiche delle avventure di un'eroina da fiaba nel suo viaggio. Per fare questo, impiega mosse tratte da molti stili diversi: commerciale; teatro musicale; contemporaneo d'autore; balletto; street dance. È un divertimento enorme, e passa in poco più di un'ora, colpendo molti più punti di piacere che momenti di stanca.

I ballerini qui, quindi, sono fondamentali per la performance. Morgan Scott, nel ruolo della figura del coniglio bianco, è sensuale e posato, elegante in gesti sinuosi e lunghi, con un fisico disciplinato che si muove e mantiene posizioni senza sforzo visibile, comunicando direttamente e con sicurezza con il pubblico. La sua è una performance straordinaria nel gruppo ed è chiaramente un artista che farà strada. Travis Sumner e Onyemachi Ejimofor provengono dalla stessa abitudine di London Studio Centre come lui, ma i loro passi non richiedono lo stesso livello di precisione spietata: sono più cordiali, umoristici, rilassati e conversazionali. In questo, le ragazze si avvicinano di più a loro che al coniglio sfuggente: Naomi Peaston, Louise Andree Douglas e Helen Scott ricevono tutti ruoli caratteriali, come Sumner ed Ejimofor, interpretando molti ruoli diversi con una padronanza straordinaria delle loro idiosincrasie e differenziazioni. Sono sul palco per la maggior parte della performance, e il ritmo è impegnativo: Scott, in particolare, viene spinto attraverso una serie di splendidi salti e sollevamenti, che chiaramente apprezza. Nel frattempo, Jennie Dickie deve interpretare la parte di ‘Alice/Principessa’ in modo piuttosto diretto, e lo fa con notevole chiarezza e calore: è il personaggio a cui ci sentiamo più vicini e ci identifichiamo con il suo viaggio con facilità e interesse.

La coreografia premia l'attenzione ai dettagli, e forse la presenza di alcuni schermi televisivi nella parte anteriore del palco – il concetto di design di Mary Colhisey – oscura dettagli importanti. Nel complesso, però, l'aspetto è avvincente e contemporaneo: la narrazione è abbastanza semplice da seguire. Pete Ayres illumina tutto in modo competente, e il suono di Simon Kitts e Sam Dyson è adeguato (anche se desideriamo ardentemente ascoltare i testi di Saint abbastanza chiaramente da seguirli). Lana Avis e Gwen Jones sono i ‘coreografi residenti’, e il materiale aggiuntivo proviene da Mo Jen. Saint ha qualcosa che funziona qui e non vediamo l'ora di vederlo sviluppare ulteriormente.

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