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RECENSIONE: Ho un brutto presentimento su questo, Vault Festival ✭✭✭✭✭
Pubblicato su
1 marzo 2018
Di
julianeaves
Ho una brutta sensazione riguardo a questo
Vaults Festival,
22 febbraio 2018
5 Stelle
Che gioia è scoprire un paio di talenti così piacevoli, graziosi e pertinenti come quelli del signor Harry Blake e della signora Alice Keedwell, specialmente quando vengono presentati in una messa in scena tanto bella quanto questa deliziosa 'commedia musicale', debuttata la scorsa settimana al più recente Festival di The Vaults, in una bellissima messa in scena di Valentina Ceschi (co-creatrice dello spettacolo), con consulenza di design di Emma Bailey, favolose luci di Richard Williamson e un tocco di vivace coreografia di Jennifer Fletcher.
È un'esperienza ricca e molto gratificante. Il numero di apertura, 'In Berkhamsted', è una risposta astuta, per non dire urbana, alle banalità della vita suburbana, centrando acutamente il bersaglio principale dello spettacolo. Ma si tratta di una relazione di amore-odio, con Alice vestita per sembrare una risposta del ventunesimo secolo a The Stepford Wives, tutto sorriso entusiasta e acconciatura di corvo bloccata con la lacca e quello che sembra essere un abito da festa in PVC rosso carminio. È quasi rinchiusa in una scatola disegnata con luci sottili, pulsanti e lampeggianti sul pavimento della scena nera, mentre, molto dietro di lei, le stelle brillano e guardano giù indifferenti ai movimenti senza senso dell'umanità autoimportante. Ah, sì. C'è un’agenda che viene triturata qui. Audibilmente. I testi, scritti da Alice, sono spiritosi, un po' come se Betjeman incontrasse Fascinating Aida incontrassero Mapp e Lucia. La sua voce si sforza in avanti, trasudando positività, mentre lui si mostra tutto impassibilità alla Chris Lowe, e distacco alla Neil Tennant, lanciando il suo commentario mordace nell'arena. Lui è quello che ha costantemente una 'brutta sensazione al riguardo'. Alice si è trasferita nelle contee. Appena. E sta cercando di affermarsi in una nuova vita, puntando a svegliarsi alle 7, odiandosi per essersi alzata solo alle 10, e pentendosi di non essere tra tutti i suoi vicini che 'stanno facendo cose'.
Alice continua, tuttavia. Ottimismo incarnato. Il suo secondo numero, una sorta di czardas in re minore, 'Our Local Pub', è pieno di entusiasmo alla Leslie Bricusse ('È incredibile!'), e suona come Barbara Pym filtrata attraverso Kathy Lette. Questo descrive la sua prossima mossa: fare amicizia. Il suo approccio è tutt'altro che diretto. Il fascino dello spettacolo è che la sua semi-follia ossessiva non viene punita con l'ostracismo sociale: tutt'altro, viene riccamente ricompensata dalle brave persone dell'Hertfordshire, che continuano a incoraggiarla. E, interessantemente, ci nomina, il pubblico, nel ruolo di tutti i suoi personaggi di supporto, riuscendo persino a far prendere a un individuo in gioco l'unica parte parlante di 'Sarah' (con battute stampate ordinatamente su grandi cartelli da leggere). Quindi, lei continua. 'I Can Do this' è un inno stentoreo alla sua determinazione. Organizza una festa: l'incontro inaugurale della sua iniziativa - un 'supper club'. Blake deride tutti i suoi sforzi dalla sua tastiera impegnata. Imperterrita, Alice marcia avanti.
'Thanks So Much For Coming' è un magnifico pezzo: accompagnato da uno spettacolo di luci scintillanti. Sembra il punto culminante dello spettacolo, mentre Alice racconta le conseguenze disastrose della sua sfortunata entrata nella società di Berkhamsted. Tutto ciò che può andare storto, va. È sconfortata. 'Alice, You Twat' è la sua canzone sirena, un numero davvero bello che fa sì che il pubblico, noi, rimaniamo senza fiato e ci soffermiamo a riflettere sulla creatura sensibile rinchiusa dentro questo mostro di aspirazione sociale, la creatura sensibile sepolta viva dentro il robot calcolatore dell'ambizione. È forse l'unico difetto nell'intero spettacolo che si trasforma in un'altra ballata, 'Maybe I Need Someone To Talk To', privando così il numero del suo effetto ben meritato. Sono sicuro che è qualcosa che i creatori dello spettacolo risolveranno in breve tempo. Fortunatamente, non si trattiene a lungo.
Una sorpresa ripresa arriva dopo il disastro, dove lo spirito di quasi carità dickensiana sorride indulgente sui fallimenti di Alice e le permette di riunirsi ai ranghi dei comodi e colti. Un finale maestoso chiude lo spettacolo, con entusiastica partecipazione del pubblico: 'There's Not A Magic Happy Ending', le cui parole sono state trovate stampate su fogli sparsi per l'auditorium all'inizio dell'evento: ora, finalmente, possiamo usarle. Quello per cui non siamo preparati, però, è la natura impegnativa della melodia che dobbiamo cantare: dobbiamo tutti ascoltarla, e ascoltarci a vicenda, molto attentamente per superarla. Che esperienza straordinariamente unificante! E quanto è eccitantemente soddisfacente arrivare a una grande cadenza a più voci al coro finale: l'arte ha davvero guarito le ferite della vita. E ora possiamo tornare a casa, sentendoci meglio di quanto ci siamo sentiti quando siamo partiti.
Beh, non puoi dire più giusto di così, puoi?
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