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RECENSIONE: Blondel, Union Theatre ✭✭✭✭
Pubblicato su
26 giugno 2017
Di
julianeaves
Connor Arnold interpreta Blondel. Foto: Scott Rylander Blondel
Union Theatre
23 giugno 2017
4 Stelle
Un'esperienza amabilmente affascinante e divertente nel mondo della commedia musicale è in serbo per tutti coloro che calcano il sentiero del menestrello errante, attualmente godendosi una rivisitata revival del riadattamento del 2006, grazie ai buoni uffici del Union Theatre. Sasha Regan, direttrice artistica, sta mettendo in scena la sua prima produzione nella nuova sede e gestisce bene lo spazio, la storia e la partitura, in collaborazione con il coreografo abituale Chris Whittaker, che fornisce una destrezza coreografica nella messa in scena musicale. Con i caratteristici design 'distressed' di Ryan Dawson Laight, che riempiono un telone di una Europa apparentemente col cuore e le viscere strappate via (che simbolico!), l'azione è illuminata splendidamente dal veterano del settore Iain Dennis, con arrangiamenti acustici e direzione musicale dell'esperto Simon Holt. La produzione è leggera nei movimenti e nei sentimenti, offrendo un tocco comico leggero a tanti, tanti, tanti numeri musicali. Come spettacolo che fa sentire bene per l'inizio dell'estate, centra l'obiettivo!
Neil Moors come Riccardo Cuor di Leone e il cast di Blondel. Foto: Scott Rylander La prima metà racconta la storia di come il cantore del XII secolo del titolo (un bel debutto da parte del nuovo arrivato Connor Arnold, che qui è sorprendentemente sottotono vocalmente e drammaticamente: l'ho visto fare molto più colpo altrove) viene 'scoperto' e poi promosso al massimo incarico a corte per Riccardo Cuor di Leone (lui con il vizio della crociata, reso carne stile hipster-che-sembra-ironman qui dal magnificamente vocato Neil Moors, una presenza magnifica, noto per gli spettacoli 'All-male-' di G&S che sono stati una specialità dell'Union di recente). Le donne che sostengono il nostro eroe in questo percorso sono la mamma (una frizzante Katie Meller) e la fidanzata femminista emancipata Fiona (una raffinata Jessie May, che chiarisce sempre completamente che è lui ad aver realmente bisogno di lei, e non viceversa: una interessante novità nel mondo del musical). Blondel, come molti altri musicisti, è esclusivamente interessato alla sua musica e vuole solo il posto al vertice a causa della sua ossessiva fiducia artistica in se stesso. Questo dà lo slancio al suo epico viaggio della seconda metà intorno al continente per rintracciare un Riccardo scomparso - la cui presunzione e il cattivo umore lo hanno portato in prigione per mano di una delle tante, tante figure camp dello spettacolo: il Duca d'Austria (Jay Worthy, che inoltre interpreta brillantemente come spalla comica del primo atto, Saladino).
Connor Arnold come Blondel e Michael Burgen come l'Assassino in Blondel. Foto: Scott Rylander
A intralciare le sue ambizioni, tuttavia, è l'antagonista principale dell'opera comico-operistica, l'‘Assassino’ (una creazione comica davvero brillante da parte di Michael Burgen, le cui buffonate da sole valgono il prezzo del biglietto) e anche il camp high Alan-Cumming-look-a-like, Freddie-Mercury-sound-a-like Principe Giovanni (una deliziosa incarnazione di James Thackeray), che ottiene un numero mozzafiato nel secondo atto con ‘I Just Can’t Wait To Be King’. Questi due suggeriscono fortemente che lo spettacolo potrebbe benissimo sviluppare gambe forti per il palco, se lasciasse un po’ più andare i capelli, permettendosi di godere di più le risate. Nel frattempo, il titolo QUEL numero può suggerire che lo spettacolo commerci – e sfacciatamente – imitando altre opere; in parte, lo fa, ma ricordate che è stato scritto un intero decennio prima de ‘Il Re Leone', ed è perfettamente capace di stabilire solidi schemi di teatro musicale così come di provare altri a misura; penso che questo possa essere un caso in cui forse altre persone sono state ‘ispirate’ da esso.
I monaci di Blondel - David Fearn, Ryan Hall, Oliver Marshall, Calum Melville. Foto: Scott Rylander
Ciononostante, una parte considerevole del fascino della palette musicale di Stephen Oliver, e successivamente elaborato da Mathew Pritchard, è come abilmente e ingeniosamente utilizzi suoni da tutto il panorama musicale dal quartetto in stile 'Kings' Singers' dei Monaci cantanti in canto gregoriano (David Fearn, Ryan Hall, Oliver Marshall e Calum Neville) fino a un pizzico di stili pop degli anni '80. La musica di Oliver raramente si propone di avere la capacità di emanciparsi dal suo contesto teatrale, mentre ‘Aim For The Heart’ di Pritchard rivendica meritatamente il diritto di essere la musica d'uscita della produzione: è sicuramente una melodia che rimane con te. Comunque sia, è materiale scritto con charme, e anche se potrebbe non andare oltre la caratterizzazione da fumetto bidimensionale, costituisce un'esperienza molto piacevole.
Ugualmente gloriose sono le liriche spesso estremamente ingegnose ed eleganti di Tim Rice, che riesce ad alzare il sopracciglio con effetti inaspettatamente delicati che umanizzano anche i momenti più ampi di licenziosità. Il libro, originariamente di Rice e Tom Williams, è stato revisionato ancora una volta e pur se magari non risolve ancora tutti i problemi tecnici che si pone, ci mostra comunque una nuova visione del mondo post-‘Pippin’, pre-‘Spamalot’, dove il medioevo può essere vigorosamente sfruttato per canzoni, balli e sketch divertenti. Il co-produttore Donald Rice (figlio del paroliere e co-librettista) è deliziato dal lavoro che è stato fatto sull’opera nei vecchi archi dell'Union e chi sa se ora lo spettacolo trova una nuova vita per portarlo ancora più lontano.
Fino al 15 luglio 2017
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