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RECENSIONE: Absolute Hell, National Theatre ✭✭✭
Pubblicato su
27 aprile 2018
Di
pauldavies
Paul T Davies recensisce il dramma di Rodney Ackland, Absolute Hell, ora in scena al National Theatre
La compagnia di Absolute Hell al National Theatre. Foto: Johan Persson Absolute Hell
National Theatre
26 aprile 2018
3 stelle
Il dramma di Rodney Ackland ha una storia difficile, probabilmente conosciuta quasi quanto la commedia stessa. Presentato per la prima volta nel 1952 come The Pink Room, la sua rappresentazione di un fatiscente ritrovo bohémien a Soho offese gli spettatori con la sua rappresentazione di alcolisti, omosessuali e prostituzione. In un'epoca di ricostruzione e ottimismo, nessuno voleva vedere il lato oscuro della società. La critica feroce assicurò più o meno la fine della sua carriera di drammaturgo, finché non fu ripreso come Absolute Hell nei primi anni '90 e fornì un veicolo per Judi Dench, che interpretò il ruolo principale di Christine Foskett al National nel 1995. Ambientato negli ultimi giorni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il club La Vie En Rose è molto simile agli ormai leggendari Colony Rooms, frequentati da personaggi come Francis Bacon e presieduti da Muriel Belcher. È un mondo perfettamente rappresentato nel set diroccato di Lizzie Clachan, eppure la produzione non riesce a raggiungere il cuore del testo di Ackland, facendo troppo affidamento su gimmick che distraggono il pubblico dal testo.
Aaron Heffernan (Butch) e Kate Fleetwood (Christine) in Absolute Hell. Foto: Johan Persson
Fortunatamente, la commedia brulica di personaggi superbi e un cast eccellente sfrutta al meglio i ruoli assegnati. Christine è un gioiello di parte, e Kate Fleetwood la afferra con entusiasmo, correndo freneticamente sul palco, esortando disperata i membri del suo club a “amarsi l'un l'altro”, aggrappandosi a qualsiasi uomo in uniforme per compagnia, la sua solitudine solo parzialmente attenuata dall'illuminazione rosa. Il suo Absolute Hell è essere lasciata sola, cosa che accade nel suo club condannato alla fine, piangendo nell’oscurità: un'interpretazione avvincente. Charles Edwards è eccellente come lo scrittore fallito Hugh Marriner, elemosinando sigarette, litigando con sua madre, (eccellente Joanna David), al verde e vivendo di prestiti, interrompendo la sua relazione con il partner Nigel, un queer che si odia, interpretato splendidamente da Prasanna Puwanarajah, le loro scene particolarmente commoventi. Eccellente Sinead Matthews è la sbiadita socialite champagnista Elizabeth Collier, la guerra che irrompe nella sua bolla protettiva quando vede le foto del suo amico incarcerato nei campi di concentramento nazisti: Ackland è un coraggioso scrittore nel portare l'olocausto sul palco nel 1952. Jonathan Slinger ruba la scena come il losco regista Maurice Hussey, glorificandosi nella sventura altrui, rendendo fin troppo chiaro il suo terribile ‘divano dei casting’. Ci sono una serie di personaggi divertenti nel cast di supporto, tra cui il pittore simile a Bacon interpretato da Lloyd Hutchinson, Eileen Walsh nei panni di Madge e Danny Webb nei panni del toccante e leale Siegfried.
Charles Edwards (Hugh Marriner) e Jonathan Slinger (Maurice Hussey) in Absolute Hell. Foto: Johann Persson
Eppure il regista, Joe Hill-Gibbins, sembra incapace di lasciare che la commedia parli da sola, imponendo la sua visione registica inutilmente in quello che è, essenzialmente, un dramma guidato dai personaggi. Questo è segnalato fin dall'inizio quando il cast si allinea davanti al sipario per cantare un verso e un ritornello di La Vie En Rose di Piaf, nel caso non avessimo capito il nome del club. Il coro si muove come un gregge di pecore, ammucchiandosi rumorosamente sul palco, oscurando l'azione principale e, il più distrattivo di tutti, è il trattamento della prostituta Fifi, con Rachel Dale costretta a percorrere il palco durante tutta la serata. Non importa cosa stia accadendo al centro del palco, sia una scena esilarante di cattiveria, una sequenza di esposizione necessaria o una rivelazione straziante, ecco che arriva Fifi, distogliendo l'attenzione dall'azione: irritante e non necessaria.
Patricia England come Julia in Absolute Hell. Foto: Johan Persson
Con una commedia che brulica di energia, sono perplesso sul motivo per cui la produzione abbia impiegato tre frustranti lunghe ore per essere eseguita. La commedia di Ackland è come una capsula del tempo della dimenticata Soho, scoperta durante lo sminamento. Eppure questa produzione non lascia che la commedia parli per sé stessa. Non proprio un inferno assoluto, ma allo stesso tempo non abbastanza per volare verso il paradiso teatrale.
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